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Concentrazione, Meditazione, Contemplazione

TORNA A: SCUOLA DI MEDITAZIONE

di Massimo Forcellini

Se consideriamo le grandi tradizioni, ci rendiamo conto che la ricerca spirituale si è sempre prefissata di indirizzare l’essere umano verso il conseguimento di alcuni fondamentali traguardi di conoscenza e di vita. Essi possono essere così riassunti: 

  • la conoscenza e la realizzazione del proprio vero Sé, della propria autenticità; 
  • l’incontro con la Realtà Ultima o la conoscenza del Divino; 
  • la comprensione della sofferenza e il suo superamento. 

A queste tre finalità possiamo aggiungerne una quarta: la gioia di chi, capace di stupore e di meraviglia, è giunto al punto di trovare naturale raccogliersi in silenzio davanti al sorprendente mistero della vita, che offre occasioni sempre nuove per nutrire il senso di gratitudine e la contemplazione. 

La meditazione, intesa come pratica e come attitudine, è uno strumento fondamentale per realizzare i traguardi di qui sopra. È il modo di educarci a un “religioso ascolto” del reale, che mistici e maestri indicano come il luogo privilegiato, se non unico, d’incontro con il Divino. La meditazione è indissolubilmente legata all’esperienza del silenzio interiore. È infatti nel silenzio che la meditazione affonda le sue radici e trae la sua linfa vitale. In virtù del silenzio l’uomo entra nell’intimo santuario del proprio essere, dove gli è dato di incontrare il proprio vero Sé e, come rispecchiato in esso, il volto del Divino. 

Nella tradizione occidentale, che è essenzialmente cristiana, il termine meditazione ha un significato diverso da quello orientale, in quanto indica un processo di riflessione, confronto e ragionamento a partire dalle scritture sacre che prepara, assieme ad altre fasi, alla contemplazione: qui l’uomo entra in un radicale stato di silenzio e di riposo. Sganciandosi da tutte le facoltà proprie, mentali e affettive, si consegna all’iniziativa di Dio e dei misteri divini, accompagnata da religiosa ammirazione. È, in altri termini quel modo di pregare con cui la mente, lasciati da parte i molteplici e particolari atti con i quali prima cercava Dio e imposto il silenzio anche alle facoltà interiori, con semplice intuito aderisce a Dio solo e in lui si riposa e gode in tranquillità di spirito, come in uno stretto abbraccio di fede e di amore. Per questo ha ricevuto il nome specifico di contemplazione.

Uno sguardo diverso ci proviene da Roberto Assagioli, fondatore della Psicosintesi, cha ha elaborato un suo approccio alla meditazione che è una sintesi tra Oriente e Occidente. Egli segue uno schema in tre fasi (dal suo testo, Lo sviluppo transpersonale): 

1. La prima fase dell’esperienza meditativa è quella del raccoglimento, della concentrazione dalla periferia al centro, della disidentificazione, cioè della liberazione dal campo della coscienza dei contenuti ordinari. Occorre fare silenzio non solo esterno, ma anche interno. Ci sono continue voci dal nostro inconscio, continue agitazioni interne che chiedono di essere calmate e pacificate prima che lo stato meditativo possa sopraggiungere. 

2. La seconda fase è quella della meditazione vera e propria. Anzitutto meditazione sopra un tema formulato con una frase o indicato da una parola. Il suo primo stadio è la riflessione intellettuale, ma a questa segue qualcosa di più profondo e vitale. È un percepire, realizzare coscientemente la qualità, il significato, la funzione, il valore di quello su cui si medita, così da sentirlo quasi vivere e agire in noi. 

3. La terza fase è la contemplazione. È lo stadio più elevato del processo meditativo e di questo è difficilissimo dire con parole in che cosa consista; si può solo accennare che è uno stato di identificazione così intima con ciò che viene contemplato, che si perde la coscienza di ogni dualità; é la fusione del soggetto e dell’oggetto in una unità vivente. La contemplazione è uno stato di perfetta calma, di silenzio interno, un consistere nella pura coscienza di essere. 

Come in Occidente, così anche in Oriente si attribuisce alla parola meditazione un carattere anzitutto generico. Così intesa, la parola meditazione rimanda all’uno o all’altro dei grandi itinerari spirituali, quali lo Yoga, lo Zen, il Dhammapada dello Hinayana o del Mahayana buddhisti, ecc. 

I termini più specifici per indicare l’attività meditativa, abitualmente tradotti con il sostantivo meditazione, sono il sanscrito dhyana, a cui corrisponde il pali jhana, il cinese ch’an, il giapponese zen e il pali-buddhista bhavana, che considera in particolare lo sviluppo dei fattori 6,7 e 8 dell’Ottuplice sentiero, ossia il retto sforzo, la retta concentrazione e la retta conoscenza. In questo contesto la meditazione suppone il corretto uso delle facoltà mentali, ma non si costruisce facendo leva su di esse. Le facoltà discorsive della mente non sono interpellate, ma piuttosto messe a tacere, per lasciare spazio al silenzio e all’intuizione, che sono i veri strumenti della meditazione. 

La saggezza che conduce alla liberazione, al Sé immortale o, per il buddhismo, a realizzare la Natura del Buddha che è in noi (per il Cristianesimo l’unione con Dio; per il Taoismo la fusione al Principio detto Tao, ecc) è il frutto della rinuncia, che significa, tra l’altro, disidentificazione costante in rapporto a tutti i prodotti del 6 

meccanismo mentale e psichico. Allora, senza essere più distratta e sviata da nulla, l’intelligenza entra in quel rapporto di conoscenza silenziosa, immediata e amante della realtà, che permette di comunicare con l’essenza stessa delle cose, così da conoscerle in profondità, evitando di lasciarsi abbagliare dalle semplici apparenze. 

Vediamo ora i tre fattori dell’Ottuplice sentiero, così importanti anche per il loro valore praticamente universale: 

  • Concentrazione (dharana). È l’arte di focalizzare la mente, perché sia in grado di stare in modo sempre più fermo e costante con l’oggetto della propria attenzione, senza distrazioni. È il risultato della disciplina dell’attenzione, che diventando sempre più continuativa si trasforma in stabilità mentale, concentrazione appunto. 
  • Meditazione (dhyana). È stare con l’oggetto della propria concentrazione in modo prolungato e stabile, è consapevolezza. Gradualmente ogni pensiero diverso ed estraneo a questo processo scompare. La mente del praticante è fissata entro i confini dell’oggetto scelto, senza nessuna distrazione, per un indeterminato lasso di tempo. 
  • Contemplazione (samadhi). Qui lo stare con si fa così intimo e stabile da superare il dualismo soggetto-oggetto. Non si tratta di una rinuncia all’individualità, ma della sua massima espansione ed esaltazione, dove tutti i potenziali di vita dell’Io trovano finalmente espressione nel rapporto di intimità e di amicizia con il reale. Il risultato della contemplazione è essere consapevolezza e beatitudine. 

Ci si rende conto di come tutta la disciplina orientale della meditazione sia essenzialmente un’educazione allo stare disponibilmente con la realtà per ciò che è, senza volerla costringere dentro i nostri parametri mentali e desideri. Le facoltà discorsive della mente non sono interpellate, ma piuttosto messe a tacere. La meditazione diventa così un fatto essenzialmente contemplativo, legato alla consapevolezza, ossia alla presenza silenziosa che ascolta.